Come fare un aumento di capitale in bitcoin in Italia

Lug
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Come fare un aumento di capitale in bitcoin in Italia

Come può una società italiana eseguire con successo un aumento di capitale in bitcoin? Guida del Dott. Lucio Insinga http://www.lucioinsinga.it/

I possibili casi d’uso di bitcoin più comuni sono ormai chiari a tutti coloro che si sono avvicinati a questo settore. Ci sono, tuttavia, dei casi più particolari, in cui le leggi del singolo paese potrebbero fortemente influenzare la fattibilità delle operazioni. In questo articolo illustreremo il caso di una società italiana che esegue, con successo, un aumento di capitale in bitcoin.

La presente guida nasce da un’esperienza diretta nella quale lo scrivente Dott. Lucio Insinga, quale dottore commercialista, e la società Management Capital Partner che rappresenta, hanno avuto l’opportunità di misurarsi, in qualità di advisor, in un’esperienza diretta, destinata a creare una traccia indelebile sul trattamento delle criptovalute quali asset conferibili in operazioni di aumento di capitale di società italiane.

Ad alcuni lettori potrebbe essere nota la massiccia campagna stampa che è derivata dalla sentenza del Tribunale di Brescia, datata luglio 2018, che confermava le ragioni del Notaio rogante che si era rifiutato di omologare un’operazione di aumento di capitale in bitcoin richiesto da una Società. Tale sentenza potrebbe essere stata interpretata come un’impossibilità di eseguire tale operazione nel nostro Paese.

Nel mese di aprile 2019 abbiamo però anticipato pubblicamente che Management Capital Partner aveva allo studio un’operazione di aumento di capitale con conferimento di criptovalute e in data 18 luglio la nostra società cliente ha effettuato tale operazione che ha ricevuto regolare omologa da parte del Tribunale di Firenze.

I nostri lettori, a questo punto si chiederanno se ha ragione il Tribunale di Brescia oppure quello di Firenze. La nostra risposta è entrambi.

Per meglio comprendere la risposta occorre valutare la differenza fra le due operazioni, i cui importi sono sì significativamente diversi, ma irrilevanti rispetto al principio base secondo il quale se un’operazione è lecita lo è sempre a prescindere dal valore economico.

Posto quindi che non è in discussione l’ammontare dell’operazione, dobbiamo indagare le differenze che hanno portato ai diversi esiti e, più in generale, al buon fine della nostra operazione.

Per far ciò, non possiamo prescindere dal fare un rapido excursus su cos’è la criptovaluta, come nasce e come si diffonde, aspetto quest’ultimo fondamentale nelle decisioni dei due Tribunali succitati.

Cos’è una criptovaluta?

Come riportato da Consob sul sito ufficiale, i termine si compone di due parole: cripto e valuta. Si tratta quindi di valuta “nascosta”, nel senso che è visibile/utilizzabile solo conoscendo un determinato codice informatico (le c.d. chiavi di accesso pubblica e privata, in linguaggio ancora più tecnico).

La criptovaluta non esiste in forma fisica (anche per questo viene definita virtuale), si genera e scambia esclusivamente per via telematica. Non è pertanto possibile trovare in circolazione dei bitcoin in formato cartaceo o metallico. Alcuni concetti tradizionalmente utilizzati per le monete a corso legale, come ad esempio quello di portafoglio, sono stati adattati anche al contesto delle monete virtuali, dove si parla di portafoglio digitale/elettronico (o wallet digitale/elettronico o semplicemente e-wallet).

Chiunque può creare una valuta digitale. In qualsiasi momento ci possono essere dunque centinaia o persino migliaia di criptovalute in circolazione.

La criptovaluta, ove ci sia consenso tra i partecipanti alla relativa transazione, può essere scambiata in modalità peer-to-peer (ovvero tra due dispositivi direttamente, senza necessità di intermediari) per acquistare beni e servizi, quindi come fosse moneta a corso legale a tutti gli effetti.

Un’altra classificazione in uso prevede la suddivisione tra moneta virtuale chiusa, unidirezionale e bidirezionale. La differenza tra le tre fattispecie risiede nella possibilità o meno di poter scambiare la criptovaluta con moneta a corso legale (o secondo altre comuni denominazioni: valuta ufficiale o moneta fiat) e nella tipologia di beni/servizi acquistabili.

Il bitcoin, ad esempio, è una moneta virtuale bidirezionale in quanto può essere facilmente convertita con le principali valute ufficiali e viceversa.

Distributed ledger, blockchain e bitcoin

Sempre seguendo le definizioni pubblicate da Consob, un distributed ledger o blockchain (quest’ultimo nome è in genere accomunato all’utilizzo del bitcoin e in italiano si traduce letteralmente in catena di blocchi) è un registro aperto e distribuito che può memorizzare le transazioni tra due parti in modo sicuro, verificabile e permanente. I partecipanti al sistema vengono definiti nodi e sono connessi tra loro in maniera distribuita.

Nella sostanza è una lista in continua crescita di record, chiamati block, che sono collegati tra loro e resi sicuri mediante l’uso della crittografia.

I dati in un blocco sono per loro natura immutabili, non possono essere retroattivamente alterati senza che vengano modificati tutti i blocchi successivi ad esso; per fare ciò, data la natura del protocollo e lo schema di validazione, servirebbe il consenso della maggioranza della rete.

La natura distribuita e il modello cooperativo rendono particolarmente sicuro e stabile il processo di validazione, pur dovendo ricorrere a tempi e costi non trascurabili, in gran parte riferibili al prezzo dell’energia elettrica necessaria per effettuare la validazione dei blocchi (questo nel caso della blockchain del bitcoin) e alla capacità computazionale necessaria per risolvere complessi calcoli algoritmici, attività che viene comunemente definita come mining. L’autenticazione avviene tramite la collaborazione di massa ed è alimentata da interessi della comunità.

La blockchain è un registro pubblico delle transazioni bitcoin in ordine cronologico. È utilizzata per memorizzare in modo permanente le suddette transazioni e per prevenire il fenomeno del cosiddetto double spending (per evitare che possa spendere i bitcoin più di una volta nello stesso momento). Come già osservato, la blockchain è un insieme di blocchi fra loro concatenati: ognuno dei quali è identificato da un codice, contiene sia le informazioni di una serie di transazione, che il codice del blocco precedente, così che sia possibile ripercorrere la catena all’indietro, fino al blocco originale (una sorta di DNA delle transazioni bitcoin). Tutti i nodi della rete memorizzano tutti i blocchi e quindi l’intera blockchain.

L’operazione negata dal tribunale di Brescia

Nelle società di capitali, aventi natura giuridica perfetta, è nota la funzione che svolge il capitale sociale, quale garanzia nei confronti dei creditori.

È pertanto necessario che vengano rispettati contestualmente almeno tre criteri per poter utilizzare la criptovaluta, a titolo di conferimento, vale a dire:

  1. l’idoneità del conferimento può essere assoggettato a valutazione in un arco di tempo ragionevole;
  2. deve essere provata l’esistenza di un mercato del bene suddetto; presupposto che si traduce nella possibilità di determinarne il valore che ragionevolmente un terzo indipendente sarebbe disponibile ad investire per completare una transazione equivalente;
  3. l’idoneità del bene conferito ad essere in un certo qual modo disponibile nell’ipotesi nella quale esso è oggetto di aggressione da parte dei creditori sociali ossia l’idoneità ad essere oggetto di forme di esecuzione forzata.

Questi tre elementi erano carenti nell’operazione presentata dalla società bresciana, pertanto il Notaio ed il Tribunale di Brescia hanno fatto, ad avviso dello scrivente, la scelta corretta, non dando seguito all’operazione con le modalità con le quali è stata presentata.

Infatti dalla lettura del dispositivo si deduce chiaramente che il Tribunale ha accertato che la perizia di stima non presentava un livello di completezza e affidabilità sufficienti per consentire un esauriente vaglio di legittimità della delibera di aumento di capitale.

Il Tribunale ha infatti ha accertato l’assenza di una piattaforma di scambio nella quale vengono trattate “criptovalute” e monete aventi corso legale; da ciò l’impossibilità di una terzietà ragionata sul valore di scambio. Nel fatto in ispecie la criptovaluta operava inoltre in un mercato ristretto perché veniva utilizzata nell’ambito di una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi riconducibile agli stessi soggetti ideatori della moneta virtuale che determinava per certi verso un valore/prezzo autoreferenziale (si trattava quindi di un token settoriale).

Un’altra grave carenza rendeva inadeguata l’operazione. La perizia presentata a supporto dell’operazione, si limitava a riportare il “valore normale” dei beni tratto dalle quotazioni del sito; pertanto carente – sempre a giudizio del Tribunale di Brescia – perché non venivano descritti i criteri oggettivi che l’esperto avrebbe dovuto indicare quali elementi “affidabili” per la determinazione del valore della moneta virtuale.

A riprova del fatto che il Tribunale di Brescia non si è espresso sull’idoneità delle c.d criptovalute a costituire elemento dell’attivo, lo si rileva da un passaggio del dispositivo della Corte d’Appello dal quale abbiamo tratto le sei righe originali.
Il Giudice adito ha sottolineato che il diniego all’operazione non era sull’inconferibilità tout court delle criptovalute ma quelle oggetto della specifica operazione e delle modalità con le quali erano stati dedotti i valori di conferimento, i criteri, e la limitatezza della piattaforma usata per lo scambio.

L’operazione approvata dal Tribunale di Firenze.

Se nel paragrafo precedente abbiamo accertato quali erano gli elementi carenti che hanno indotto il Tribunale di Brescia a rifiutare l’iscrizione dell’aumento di capitale, nel presente paragrafo, i documenti a supporto dell’operazione presentata dalla nostra società cliente hanno superato l’esame.

È stato dimostrato infatti che:

  • Il valore di conferimento accertato dal perito, non era autoreferenziale o legato ad una certa merceologia o settore. Esso è stato pagato dai soci in euro e il suo controvalore è basato su migliaia di transazioni e determinato in un arco temporale che ha consentito di stimare valori storici e correnti;
  • La piattaforma utilizzata è internazionale, terza ed indipendente rispetto alla nostra cliente;
  • I bitcoin conferiti sono stati pertanto oggetto di un’attenta perizia che ne ha documentato la formazione dei prezzi e il valore;
  • I bitcoin sono stati acquistati dai soci con controvalore in euro da una nota piattaforma europea nella quale sono peraltro disponibili tutte le statistiche inerenti la formazione del prezzo nel tempo.

Le criptovalute conferite, sono state identificate con un codice informatico che è stato consegnato all’Amministratore della Società, pertanto egli è divenuto l’unico soggetto che da quel momento poteva operare.

Conclusioni

Come si è potuto constatare le due operazioni, tanto negli aspetti sostanziali quanto in quelli formali, sono molte diverse. Purtroppo dobbiamo registrare come la campagna stampa e il mancato approfondimento degli aspetti peculiari delle due operazioni ha innescato forti pregiudizi nei professionisti e nelle imprese circa la possibilità di poter compiere operazioni di aumento di capitale con conferimento di bitcoin o in genere criptovalute.

Il vero valore aggiunto del team di Management Capital Partner è stato quello di non arrendersi davanti alla prima difficoltà insorta con una lettura superficiale dei fatti accaduti a Brescia e di aver saputo operare per rispettare tutti i requisiti di legge previsti nelle operazioni che prevedono un aumento dei mezzi propri della società.

Per contattare Management Capital Partner e richiedere informazioni sulle operazioni o consulenze è possibile visitare il sito ufficiale.